sabato 29 agosto 2009

Fakey's (San Francisco)

Locale molto strano ma anche molto divertente, Fakey's, il cui slogan è "niente è quello che sembra": i velluti rossi della sala principale sono dichiaratemente fatti di lattice, le gocce di cristallo dei lampadari di plexiglas ottico, e le dorature di titanio aeronautico estruso.

La stranezza non si ferma solo al locale - anche le ricette sono tutte abili camuffamenti: si passa dal classico pesce finto della tradizione piemontese alla cucina creativa, i cui vertici riconosciuti sono il pollo arrosto (in realtà una composta di frutti di mare in forma di pollo) e le eccellenti tagliatelle "paglia e fieno" con pomodoro e ricotta affumicata (in figura): solo apparentemente di pasta, le tagliatelle sono in realtà delle sottilissime striscie di zucchina condite come fossero pasta.

Ho chiuso il mio pasto con un dessert che a prima vista sembrava una crèeme brulee, ma che, a spese mie e del mio cucchiaino ho in realtà scoperto essere un croccante molto, molto duro.

Nessuna sorpresa per il prezzo, tristemente: i 250 dollari che mi sono stati chiesti, da me interpretati come l'ultimo scherzo del locale, erano in realtà del tutto veri, ed anche il tentativo di pagarli con i soldi del Monopoli non è andato a buon fine.

Giudizio: 21.75%

La ricetta seria di Monsieur Pernod: il post è ispirato a questa ricetta e alla discussione che ne è conseguita (meglio togliere la pasta o togliere 5 cucchiai di olio)? In ogni caso, ho provato, e posso confermare che si possono davvero cucinare piccole striscie di zucchina per fare una specie di pasta - in due parole: fate un sugo qualunque, e butatteci in mezzo delle tagliatelle di zucchina, tagliate con un pelapatate. Dato che la zucchina non sa fondamentalmente di niente, se il sugo è buono dopo 5 minuti circa avrete ottenuto una specie di pasta senza carboidrati. La foto riporta i mio reale risultato, nel consueto stile "più schifosa è la foto meglio è" di Monsieur Pernod. Ai posteri l'ardua sentenza sul gusto.

martedì 16 giugno 2009

Dik-dik Tathurrh (Cape Town)

Dik-dik Tathurrh (letteralmente "la capanna del Dik-dik") è un bel cubo di cemento grigio a ridosso della spiaggia di Cape Town. L'accoglienza è un po' fredda: un maitre in divisa scatta sull'attenti appena entro, e facendo un saluto militaresco mi porta al cospetto del proprietario, il leggendario Chef Adolphe Le Dur, che dopo i saluti di rito fa un secco cenno al maitre, che mi accompagna al tavolo rigorosamente quadrato.

Il menù scritto in caratteri gotici è vario, ma leggermente monotono. Ordino un filet mignon, ed il risultato è decisamente deludente: triste all'aspetto, accompagnato da poche zucchine leggermente crude, il filetto è stato cotto troppo e condito male. Immangiabile. Chiamo il maitre per lamentarmi, stupito del fatto che lo chef Le Dur sia caduto così in basso, e lui abbassa immediatamente la voce.

"Vede" mi dice in un tono da confessione "Le Dur comanda con pugno di ferro, ed il risultato è stato terribile. Il personale adesso è diviso: da una parte i suoi seguaci, che fanno tutto quello che lui chiede senza intelligenza, preparano dei piatti deprimenti e senza fantasia. Dall'altro, i suoi antagonisti vedono il risultato dei loro colleghi, e non potendo parlare, ma essendo convinti di poter fare di meglio rovinano quel poco di giusto che c'era nella ricetta con alzate d'ingegno opinabili".

Stupito, gli chiedo perchè non fa niente per cambiare le cose. "Come le ho detto, qui governa lui" risponde "e se c'è una cosa che odia sentirsi dire è che i suoi piatti fanno schifo. Nessuno ha il coraggio di dirglielo, si rischia la morte". Resta un secondo in silenzio, e poi passandomi un foglietto sotto il tavolo aggiunge "Questo è il mio Curriculum, potrebbe aiutarmi a scappare?"

Giudizio: 0.0

lunedì 15 giugno 2009

El-An'arkayah (Il Cairo)

El-An'arkayah (letteralmente: il luogo delle delizie) è un buffo locale nella periferia del Cairo, frequentato da ogni sorta di persone: dai giovani turisti americani armati di "Guida del Routard" ai cammellieri in riposo.

Caratteristica più evidente del ristorante è il fatto che regni al più totale confusione. All'ingresso, il tavolo ci viene assegnato da un giovane armato di scopettone, evidentemente un addetto alle pulizie. Per le ordinazioni arrivano quattro cuochi, che prendono tutti un ordine diverso, chi segnandolo su un pezzo di carta straccia, chi sul cappello del vicino. In cucina si affaccendano dei camerieri, mentre i piatti vengono lavati da quello che sembra essere il Maitre.

Il mio ordine viene perso tre volte, ed alla fine, dopo qualche ora, mi arriva un piatto completamente diverso dalla Tajine Royale che avevo chiesto: una strana inslata di polipo e verdure . Chiedo di parlare al proprietario. "Non esiste", mi risponde una sguattera, "siamo una comune, qui, tutti uguali - vuole dire a me?". Porto le mie lamentele, alle quali lei risponde con un'alzata di spalle: "almeno ha avuto qualcosa" mi dice indicando un gruppo di avvocati del luogo, "quei signori li' aspettano da tre giorni - su, adesso mangi, che si fredda". Le chiedo chi l'ha cucinata, e come si svolge il lavoro in cucina. "Ciascuno fa un po' quel che vuole" mi risponde "ad esempio, questa insalata l'abbiamo cucinata io ed un direttore di autoconcessionaria, nostro affezionato cliente".

Per non offenderla accenno un assaggio. E' orrenda, e non riesco a trattenermi dallo sputarla. Lei alza di nuovo le spalle: "si vede che non è venuta bene", mi dice, e dirigendosi verso il frigo, aggiunge "forse manca della panna spray? Ho proprio voglia di dare una spruzzata!".

Giudizio: 0.2 (solo perchè almeno non c'è l'obbligo della cravatta)

domenica 14 giugno 2009

Prostrão (Rio de Janeiro)

Prostrão è un locale appena aperto, che mi è stato consigliato da un amico brasiliano. Entrando resto immediatamente stupefatto dalla cordialità con cui vengo accolto dal gestore, il signor Agostinho Prostrão: il suo viso si allarga in un enorme e genuino sorriso mentre sfregandosi le mani corre letteralmente ad accogliermi: "Benvenuto, benvenuto, benvenuto, lei avrà il nostro tavolo migliore, siamo veramente felici di averla qui stasera!", mi dice, e non stento a credergli. A parte me, il locale è vuoto.

Scelgo un vino rosso locale ed un piatto di espadarte grelhado. Squisito, davvero squisito, è il verdetto immediato: è freschissimo, ed accompagnato da pomodorini e lattuga di prima qualità è davvero una festa per il palato. La signora Prostrão esce dalla cucina, viene a salutarmi cordialmente, e mi chiede con un gran sorriso se mi piace, o se per caso preferirei che me lo ricucinasse, magari un po' meno cotto. "No, no, è perfetto", le dico davvero sorpreso, ed il marito la intercetta: "Mafalda, lascia stare il signore, non vedi che è a posto?" e aggiunge poi verso di me "se gradisce meno compagnia, basta che me lo faccia sapere". Gli rispondo che va benissimo, e non dev'essere la risposta giusta, perché lui assume aria umiliata e mi ribatte "Scusi infinitamente, forse preferisce più compagnia... posso far venire qui mio cugino, è un ottimo conversatore!". A questo punto sono davvero confuso, e tento di confortarlo dicendogli che davvero, va tutto benissimo, il pesce spada è il migliore che abbia mai mangiato e loor sono persone deliziose! Sembra finalmente rilassarsi, e mi lascia solo a finire un dessert anch'esso squisito, una variazione leggera dei Brigadeiros.

Chiedo il conto e Agostinho mi presenta una cifra irrisoria. "Forse è troppo caro?" dice immediatamente quando mi vede stupito. "No, anzi", ribatto. "Se preferisce glie lo alzo un po'" dice lui, e finisce che gli pago qualcosa in più solo per non vederlo preoccupato. Mi accompagna poi all'uscita del locale, ancora vuoto. "La aspettiamo domani, allora" mi dice sulla porta.

"Domani torno a casa", rispondo davvero triste, ripensando all'eccellente pesce spada "ma le prometto che appena ripasso da Rio, torno da lei".

"Non ce n'e' bisogno" mi dice il signor Prostrão "se mi dice dove abita, traslochiamo noi dalle sue parti!"

venerdì 12 giugno 2009

Ksenofobya (Mosca)

Ksenofobya, uno dei più rinomati ristoranti di Mosca, si propone da sempre di servire unicamente prodotti del paniere locale, cucinati da cuochi locali, e serviti da camerieri locali.

La formula ha funzionato per anni sotto la vecchia gestione della famiglia Kachaviavich, perchè era ben noto che qualche infrazione alla regola si poteva concedere: un po' d'olio di oliva greco, il pesce di Archangelsk, un cuoco Georgiano. Ma quando Alexey Kachamiavich lasciò il posto nel 1994 a Boris Gheziov, tutto questo divenne dal giorno alla notte inammissibile. Boris, un rubizzo moscovita DOC, cominciò a buttar via tutti i prodotti che non fossero rigorosamente moscoviti e licenziò chiunque venisse dai quartieri a sud del Moscova.

Il risultato fu una paranoia crescente tra il personale: il cavolo che mettevi nel borsch era davvero delle campagne di Mosca? Eri forse uscito con una di San Pietroburgo l'altro ieri? Chi era quel nuovo cliente? Uno di Odinstovo? O magari *gasp* un Ucraino? I camerieri cominciarono a rinfacciarsi presunti problemi di xenofilia gettando via indifferentemente prodotti del paniere e non, mentre i cuochi se ne andavano uno dopo l'altro: non c'era più la tensione alla purezza di una volta, dicevano alcuni. Era tutto eccessivamente teso alla purezza, dicevano altri.

Ed è così che, se andate oggi a mangiare da Ksenofobya, l'unica cosa che troverete sul menù è una frittata, fatta con le uova deposte dai polli che Boris Gheziov stesso alleva direttamente nel ristorante, e cucinata direttamente da lui.

Giudizio: 0.0

giovedì 11 giugno 2009

Collana di Papi 2009 (Cantine Evelina, Sardegna)

Stranissimo vino, questo Collana di Papi 2009. Un cannonau rosso rubino dall'ottima consistenza e dal leggero sentore di mirto e soldi sonanti, viene recapitato a pochi fortunati direttamente su voli di stato. Sembra ottimo per i brindisi con persone che ti devono dei favori (specialmente apprezzati gli ex piduisiti o i sedicenti autisti di Craxi), ma tiene il gusto troppo poco: il tempo di una fotografia, e poi la palatabilità si rovina subito.

Quando abbiamo contattato le cantine per verificare se il gusto di tappo fosse normale, abbiamo ricevuto dal rappresentante delle Cantine Evelina risposte contradditorie: "sono stato interpretato male" è stata la prima, seguita a ruota da "non ho mai conosciuto quel vino, l'ho prodotto solo per caso dato che passavo vicino alla vigna" (ipotesi smentita dal fatto che la vigna è di proprietà della famiglia da più di 200 anni), per poi passare a "è una congiura, una trappola della stampa" e finire con "giuro sulla testa dei miei figli, quel vino non so che cosa sia".

In ogni caso, tra le risposte evasive non è stato possibile capire il problema: forse le sue uve vengono colte troppo, troppo giovani?

Voto: No.

sabato 23 maggio 2009

Spiedinodipesceria San Zomberto (Milano)

Ultima nata nel filone dei locali a tema, la Spiedinodipesceria San Zomberto nella zona dei navigli a Milano è perfettamente incastrata tra la Salamoteca del Gusto Pepato e la Marmellateria Orange Pekoe, con le quali oltre all'edificio condivide anche la gestione.

L'accoglienza è buona, ci si trova immediatamente coinvolti nel tema tra enormi spiedini al calamaro di polistirolo e giganteschi bassorilievi a muro di spiedini di tonno dell'artista rumeno Fassonu, grande amico di Nicola Pacchiaghi, il gestore, e famoso per i suoi soggetti: dipinge solo spiedini di pesce e teste di mazze da golf.

Il viral marketing sembra aver fatto il suo mestiere - in tutta Milano si sentono giovani che pianificano grandi spiedino-di-pesciate (o salamate, o marmellatate) e che sono pronti a giurare che hanno quasi solo sempre mangiato spiedini di pesce (o salami, o marmellate), quindi la fila all'ingresso è nutrita. Recuperato un posto vicino alla stuatua in bronzo dello spiedino di ricciola ho ordinato un classico "totano seppia e gamberotto", che devo dire ho trovato gustoso e cotto a puntino.

Avrei voluto accompagnarlo con un vinello bianco, magari un Zappamorto del '99 o un Calafato del 2006, ma non è stato possibile, il personale prende molto sul serio l'esclusività del tema del locale e serve solo succhi centrifugati di spiedino di pesce.

Giudizio: deludente

mercoledì 20 maggio 2009

Amaro Comic Sans MS

L'amaro Comics Sans MS è prodotto in provinicia di Lecco dalle cantine Vincenzo, un piccolo produttore del tutto incapace graficamente che per qualche motivo incomprensibile si è disegnato da solo le etichette.

L'amaro, di un colore chiaro e dal rinomato aroma di nastro di macchina da scrivere, ha un robusto aroma secondario di fumetto in quadricromia appena aperto. Il gusto non è certo innovativo: divertente ma poco equilibrato, ed è proprio questo il problema principale - non è un amaro di pregio, e ciononostante tende ad essere usato nei luoghi più impropri. Non è un buon modo per finire una cena formale a casa dell'ambasciatore, non si può offrire nei veglioni funebri, e non va assolutamente bene da portare in regalo al Re del Belgio.

Questo, insieme con la sua palatabilità non perfetta, e con le sue leggere proprietà emetiche, hanno di recente scatenato un movimento che richiede la sua abolizione dalle tavole dello stato, il che è approssimativamente come dire che se non mi piacciono le mele, posso ritenermi autorizzato a chiedere di cospargere di Napalm tutta la Val di Non.

Giudizio: incomprensibile!

lunedì 18 maggio 2009

Sparringducks Water Company (catena)

E' ormai praticamente impossibile girare il mondo senza imbattersi in uno dei locali Sparringducks - ce ne sono da Bangkok a Manhattan, da Cleveland a Parigi, da Cape Town a Paderno Dugnano, ed in tutti si entra per lo stesso motivo: bere acqua e chattare. Sparringducks offre infatti gratis la connettività wi-fi e la corrente per i laptop, attirando una clientela giovane e tecnologica, che deve assolutamente mandare un messaggio alla fagiana proprio ora e adesso, e che per farlo è pronta a pagare un bicchiere d'acqua dai 5 ai 125 dollari.

Certo non parliamo di acqua qualunque, ma di una delle quasi cento varietà dell'offerta Sparringducks: si parte dalla "Plain Tap" (acqua del rubinetto, 7.25 dollari), si sale alla "Sparkling H20 Lime" (acqua del rubinetto addizionata di C02 sul momento e con una spruzzata di lime, 12.49), e si passa poi alle acque esotiche, ad esempio la "Icelandic glacier" (acqua del rubinetto gelata in un bicchiere trasparente, 33.99), la "Monte Bianco Grande" (acqua del rubinetto al punto triplo servita in un grande bicchiere di ghiaccio fatto con acqua del rubinetto, 59.49), e la famosissima "Malaria special" (acqua del rubinetto con zanzare anofele, 89.49). Non plus ultra ovviamente la rinomata "Royal Scots Dragoons" (by appointment della regina Elisabetta II d'Inghilterra e della casa reale: acqua del rubinetto leggermente salata al gusto di salmone in una tazza di plastica stampigliata con il tartan dei McDougall, 125 dollari).

Insomma, ce n'e' per tutti i gusti. Sparringducks punta ovviamente sull'assoluta genuinità del prodotto, e anche se usciti dallo Sparringducks di Mumbai o Dar Es Salaam è piuttosto frequente incontrare un americano che si era "rifugiato lì per bere acqua americana" piegato in due dalla dissenteria, a giudicare dal successo della catena sembra che la formula funzioni.

Giudizio: 0.0 - incolore, inodore, insapore. Ma il wi-fi è gratis.

domenica 17 maggio 2009

Rico (dintorni di Indiana, regione di Iquitos)

Immaginate la mia sopresa nello scoprire un foglio manoscritto in una edizione del 1977 della Guìa de las Hosterias del America del Sur, in cui un insigne accademico, mio collega alla Sorbona, descriveva con dovizia di particolari i favoleggiati Spidini di Tapiro della mitica Bodega Rico, e tracciava anche una grezza mappa di come raggiungerla.

L'avventura non mi spaventa: mi misi la fedora e, imbracciate frusta e forchetta, presi l'aereo per Iquitos, Perù. Da lì la strada si fece più complessa: 2 giorni di autobus e una navigazione fluviale di quasi 4 giorni, tra fastidiosi mosquitos non commestibili e versi lugubri della giungla mi portarono al villaggio di Santa Maria De Los Perros Calientes, dove cominciai la strada nella giungla a colpi di machete. Dopo alcuni giorni Fernando, uno dei nativi che mi faceva da guida, si fermò di botto, indicò una freccia piantata in un albero della gomma ed esclamò, terreo in volto: "Huevitos". Mi voltai a guardarmi intorno, e quando mi girai di nuovo, le guide erano sparite.

Non sono il tipo di uomo che si scoraggia, specialmente quando la posta in palio è una della pietanze più ricercate del mondo - brandendo il machete, continuai a farmi largo nella vegetazione. Giorni dopo, le mie fatiche vennero ripagate: un volto scavato nella pietra, ed un ingresso cavernoso, i favoleggiati segni dell'osteria Rico, che si snoda sottoterra. Leccandomi le labbra, evitai destramente una trappola per turisti e pagando con la moneta locale (un sacchetto di sabbia) afferrai i miei anelati spiedini di tapiro.

Mi stavo accingendo a mangiarli all'ombra di un albero della gomma, quando sentii la fredda canna di una pistola appoggiarmisi sul collo e una voce familiare dire: "credo che lei abbia qualcosa di mio, Dottor Pernod".

E fu così che la mia temuta nemesi, Monsieur Pastis, si impossessò degli spiedini, costringendomi ad una fuga rocambolesca ed ingloriosa che saranno (forse) soggetto di una recensione futura.

Giudizio: non pervenuto (ma comunque, non vale la fatica)